martedì 31 agosto 2010

Il raduno de' Mezzisacchi (12): Vive le sport!


E di sport deve averne fatto parecchio, questa impareggiabile gialloblé, fin dal 1969 quand'è stata immatricolata! Altro proprio non saprei dire, ora che la fine del raduno de' Mezzisacchi è davvero vicina. Tre quarti d'ora di pioggia battente, e una sfilata di meravigliose nonnine che definire arzille sarebbe soltanto un eufemismo!

Il raduno de' Mezzisacchi (11): Celestina Quinta


Ci s'avvicina oramai al termine dell'oramai lunghissima cavalcata nel raduno delle 500 storiche dello scorso 18 maggio, e dopo i due Mezzisacchi infernali della scorsa volta sarà bene ora riguadagnarsi un po' di paradiso, con questo celestial Cinquino targato Palermo (del 1967). Non so esattamente se, come il famoso papa da Morrone, anch'essa abbia fatto un gran rifiuto; l'importante è che la nostra Celestina Quinta non sia stata trasformata in un rifiuto solido urbano, e che ancora abbia fiato sufficiente per salire a Firenze fin dalla Sicilia!

lunedì 30 agosto 2010

Paperetta YèYè customizzata



Customizzata, credo, vuol dire fatta seguendo le istruzioni particolari di un dato cliente. Un esempio davvero bello ce lo fornisce, ancora una volta, Michele, il nostro agente a Torino (ganzo così, aspettando di avere davvero anche un agente all'Avana, città le cui impareggiabili tregge sarebbero da tutelare dall'Unesco come patrimonio dell'umanità). Scrive Michele:

Gia che ci sono in allegato ti mando la foto di una 2 CV customizzata. Il problema è che potrebbe non essere una treggia, ma essere stata una delle ultime 2 CV, e che quindi la targa del 1990 è quella originale. Essendo stata modificata in diversi particolari, dai sedili alla trasformazione in decapottabile con tettuccio in jeans, diventa difficile capire se si tratta di una ritargatura o meno. Lo schema dei colori credo che risalga agli inizi degli anni '80: c'era la versione "Charleston" nera e granata, mentre una versione rossa e bianca si chiamava "Dolly". Lascio a te l'ultima parola, anche se secondo me si tratta di una versione "custom".

Beh, direi che già l'aver pubblicato le foto della 2CV customizzata fornirebbe una risposta adeguata a Michele; si tratta di una treggia in piena regola, per di più assai particolare. Per quel che mi riguarda, ritengo anch'io che la targa sia originale: l'immatricolazione è effettivamente del 1989/90, e la produzione della Dedeuche cessò esattamente alle ore 16.00 del 27 luglio 1990, quando l'ultima 2CV finita uscì dallo stabilimento di Mangualde, in Portogallo (quello storico francese di Levallois era stato chiuso invece già il 25 febbraio 1987, dopo avere sfornato esattamente 2.790.472 esemplari. Siamo quindi davvero di fronte ad una delle ultime 2CV immatricolate in Italia, customizzata o meno che sia; e sicuramente una 2CV "portoghese". Con quel suo aspetto da ragazzina fino all'ultimo, una PaperettaYèYè che e rimasta giovanissima fino alla sua fine.

Sten'ka Razin e Palmiro in Georgia



Ed eccoci di nuovo in compagnia di I.N.S.C.O. e delle sue impareggiabili tregge transcaucasiche. Siamo ancora in Georgia, presumibilmente nella capitale Tbilisi, e quella che vedete è proprio lei: una classicissima Lada 2103, che come tutte le sue omologhe dal numero 2101 al 2107 è più conosciuta con l'appellativo di Zhiguli (si pronuncia jìguli, con la "j" francese di "Jean" e l'accento sulla prima "i", per distinguerla da una famosa caramellina in voga negli anni '70).

Come per tutte le case automobilistiche dell'ex URSS, è piuttosto complicato seguirne la storia. La Lada-VAZ nacque nel 1964 per diretta decisione del governo sovietico, il quale, per "motorizzare in massa" l'Unione Sovietica, decise di costruire un colossale impianto di produzione ubicato nientemeno che a Tol'jatti. Tol'jatti (in cirillico Тольятти), città di quasi 800.000 abitanti sul Volga, nell'oblast' di Samara, si chiamò dal 1780 (anno in cui fu fondata) al 1964 Stavropol'-na-Volge, vale a dire, più o meno, Città della Croce sul Volga (stavropol' è la resa russa del greco bizantino Σταυρόπολις); ma quando, nel 1964, il segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti trapassò giustappunto in URSS in concomitanza con la suddetta decisione di impiantare il colossale complesso automobilistico, le fu cambiato nome e fu intitolata appunto al defunto Migliore. Nome che non ha cambiato neppure con la fine dell'URSS: la città si chiama ancora Tol'jatti, anche se dalle nostre parti la si chiama -del tutto arbitrariamente- Togliattigrad (evidentemente per assonanza con Stalingrad, Leningrad eccetera). Insomma, come dire: mica è da tutti farsi intitolare una città di quelle dimensioni. Da parte mia, mi accontenterei anche di un villaggio di 150 abitanti in Siberia, a condizione però che ci sia il -grad. Qui non transigo. Voglio il Venturigrad (Вентуриград) o, al limite, qualcosa di molto sovjetskij come Treggiabloggograd-na-Lene (Треджаблоггоград-на-Лене).



Nella scelta di intitolare la città a Togliatti, però, non dovette entrarci soltanto l'ammirazione e la riconoscenza per il segretario del PCI. La linea di produzione del colossale impianto, infatti, era quella della Fiat 124 (auto già nata "sovietica" in quanto a linea, verrebbe da dire): 270 km di linea e una capacità produttiva di 1.000.000 di auto all'anno. Da notare che l'accordo fu firmato in persona dall'AD della Fiat Vittorio Valletta, notorio massone nonché denunciato a suo tempo dal CLN come collaborazionista con gli occupanti tedeschi. Come dire: gli affari sono affari, e non si può guardare tanto per il sottile con buona pace degli operai che erano stati ammazzati e deportati per difendere le fabbriche nel 1943.

Cominciò così la produzione delle Zhiguli, l' "autocinetum sovieticum" per eccellenza: tutta la serie "2100", ancora in produzione e tutta a base di Fiat 124 e 125, nonostante la Lada-VAZ sia stata attualmente acquisita dal gruppo Renault. La 2103 che vedete oggi qui in Georgia è la replica della 125. Come ultime curiosità, va detto che "Lada", secondo un'interpretazione diffusa, sarebbe una divinità lituana che impersonifica l'amore e l'amicizia. Secondo altri, invece, deriverebbe dal nome della lad'ja, un tipo di imbarcazione tipica russa. Il logo della Lada-VAZ è infatti la stilizzazione dell'imbarcazione con cui l'eroe popolare cosacco Sten'ka Razin attraversò il Mar Caspio fomentando nel XVII secolo la rivolta dei servi della gleba contro il regime zarista. VAZ, tipica sigla soviet-style, significa Volzhskij Avtomobilnyj Zavod (Волжский автомобильный завод), vale a dire: "Fabbrica di Automobili del Volga".

sabato 28 agosto 2010

Il raduno de' Mezzisacchi (10): Hell Raiders


Dovessi fare una giratina all'inferno, senz'altro mi garberebbe farla a bordo di una di queste due 5oo rosse; oltretutto, immaginando che alla corte di Lucifero ci sia un certo affollamento, è probabile che mi risolverebbero diversi problemi di viabilità e di parcheggio (sperando che le vie dell'inferno non siano lastricate di buone intenzioni, e intasate di SUV). Immagino anche che i proprietari di questi due automezzi, di cui quello targato Firenze è del 1966 e quello targato Lucca del 1974, in attesa della chiamata del prìncipe de' démoni abbiano passato rispettivamente gli ultimi 44 e 36 anni a lucidare le loro vetturette come due specchi. Beh, come diceva Don Zauker: Dio ti guarda, vèstiti ammodino. Ti guarda anche il Diavolo, e se vuoi andare a fargli una visitina in 500, curala altrettando ammodino.

venerdì 27 agosto 2010

Peter Schlemihl e la sua macchina, ovvero L'ombra del Treggista


Conoscete la storia di Peter Schlemihl? Se non la conoscete, familiarizzatevi con Adelbert von Chamisso, e leggete la storia dell'uomo che vendette la sua ombra. Il qui presente vs. Treggista preferito, invece, pur trovandosi spesso nella sua vita in gravi ristrettezze economiche, la sua ombra non l'ha mai venduta e la cosa gli rimane tuttora molto utile. Ad esempio per fotografare la targa di questa magnifica Lancia Fulvia coupé color oro del 1974, che nell'abbacinante sole d'un tramonto di metà agosto non sarebbe mai potuta essere stata colta senza, appunto, un'ombra che le facesse schermo. E l'ombra che vedete è proprio quella del Treggista, il quale, fotografando, pensava proprio a Peter Schlemihl. E se quella fosse stata la sua macchina, e l'ombra l'avesse venduta a me? Chi lo sa. Nell'attesa di rispondere a questa domanda fondamentale (la cui risposta è, ovviamente, Quarantadue), vi suggerisco di godervi le altre foto della Fulvia coupé e di prepararvi all'ottima lettura di un meraviglioso classico della letteratura tedesca:






giovedì 26 agosto 2010

Karmann e sangue freddo (2)






L'imponderabile. Due giorni prima, a Viareggio, quando mi ritrovo davanti la Karmann Ghia, esco fuori quasi querulo, cinguettando: "Una Karmann Ghia! Ma è incredibile! È rarissima!". Due giorni dopo, a Firenze e nemmeno lontanissimo da casa mia, durante un giro notturno che non era neanche un TT ma semplicemente un nonsapercheccazzofàgnene lì da solo, eccotene un'altra. Stavolta con la capote abbassata, ché quando dico 'sta parola mi viene sempre da ridacchiare dato che il francese lo conosco passabilmente bene*. Anche questa bianca e ritargata, e di quelle che hanno provocato lo sguardo attonito del classico passante a ore tarde, che non si capacita come mai un energumeno scenda da un'utilitaria come un ossesso e si metta a fotografare una macchina parcheggiata. Una scena e un'evenienza con la quale ogni aspirante Treggista Militante deve familiarizzarsi alla svelta.

*Capote: "tettuccio rimovibile di un'autovettura" e, in gergo, "preservativo". Una fanciulla eventualmente fidanzata con un giovanotto francese proprietario di un'autovettura spider dovrebbe quindi non far caso se, dicendo al ragazzo mentre sono in macchina una cosa come "Mets la capote, s'il te plaît", costui fa un sorrisetto malizioso.

Karmann e sangue freddo (1)






Raramente, e forse sbagliando, sono stato a Viareggio. Probabilmente, per un isolano feroce quale sono, le spiaggione e la "vita" di Viareggio e della Versilia non sono troppo congeniali. Però qualche giorno fa ci sono stato, assieme alla piasintëina e a un amico, e ci sono stato molto bene (basta che non pretendano stolidamente, i viareggini, di fare il cacciucco come a Livorno); inoltre Viareggio mi ha riservato, proprio in uno dei suoi viali alberati di pini, una sorpresotta niente, ma proprio niente male.

Beh, certo, ci ha la targa alfanumerica e, forse, non bisogna neanche volergliene al proprietario: data la vettura, con tutta probabilità si tratta di un'acquisizione diretta all'estero che ha avuto poi bisogno di un'immatricolazione italiana. Però, budello d'eva, davanti a una Volkswagen Karmann Ghia bisogna fermarsi comunque. Con karmann e sangue freddo, e fotografare. Non è una cosa che si vede tutti i giorni a giro, e in Italia se ne vedevano poche anche negli anni '60 e '70, quand'era in produzione.

La VW Karmann Ghia era una vettura strana e bella. A vederla dal di fuori, con la sua linea accattivante da spaiderino possente, uno avrebbe pensato che facesse tuoni e fulmini; generalmente si ignorava del tutto che era, praticamente, un Maggiolino spider. Con le medesime prestazioni del Maggiolino. Fu in produzione dal 1955 al 1974; a Licòpoli, a quel tempo, non esisteva altra linea di produzione che quella per il Käfer, e l'ingegner Nordoff pensò di diversificare un po' la produzione offrendo sì un'auto dalla linea sportiva, ma che sfruttasse in tutto e per tutto la meccanica del Maggiolino. Ne venne fuori questo interessantissimo ibrido, che con la sua carrozzeria filante e esteticamente splendida (un prototipo Ghia del 1953 poi acquisito dalla carrozzeria Karmann) ricopriva in tutto e per tutto la meccanica, senza la benché minima variazione, del Maggiolino. Vale a dire lo storico boxer da 1192 cm3 raffreddato a aria, che erogava i suoi trenta cavallacci. In pratica, la Karmann Ghia forniva prestazioni assai modeste; la velocità massima, ad esempio, era di 115 kmh. Qualcosa da mettercisi calmi calmi con la bella a fare giustappunto pò pò pò per il lungomare di Viareggio, facendo finta che se si fosse pigiato l'acceleratore....

...ti avrebbero comunque superato anche i Cinquini. Ma non per questo è una vettura meno bella. Da procederci con molta karma(nn)!

mercoledì 25 agosto 2010

Geo & Geo: La leggenda della Volga



La scorribanda di I.N.S.C.O. nella Trancaucasia ci porta stavolta in Georgia, e più particolarmente nella sua capitale, Tbilisi. I nomi non ingannino troppo: Georgia è il nome che diamo noi a quel paese, derivato con tutta probabilità dal persiano Gurji con influenze greche; i georgiani, invece, chiamano se stessi in tutt'altro modo, ovvero Kartvelebi, e il loro paese Sakartvelo. La loro lingua non somiglia a nessun'altra al mondo, e per sottolineare il fatto i georgiani scrivono da 1500 anni e passa con un'alfabeto proprio: ad esempio, la vera grafia di Kartvelebi e Sakartvelo è, rispettivamente, ქართველები e საქართველო. Dalle nostre parti si sa che parecchi georgiani hanno cognomi che finiscono in -vili ("figlio") e -adze (che non so che voglia dire esattamente); due georgiani piuttosto famosi si chiamavano infatti Josip Vissarionovich Dzhugašvili (più noto come Giuseppe Stalin) e Edvard Shevardnadze.

Piaciuta l'introduzione storico-linguistica? Beh, anche se non vi fosse piaciuta, dal punto di vista squisitamente treggistico la cosa non ha grande rilevanza, dato che sulle targhe delle auto georgiane non v'è traccia alcuna né della denominazione autoctona del paese, né dell'alfabeto locale. Immaginatevi voi, ad esempio, un carabiniere di Molfetta che dovesse leggere urgentemente una targa tipo თვე 137 ლო. Sulle targhe, quindi, lettere latine e l'abbreviazione "GEO" del toponimo internazionale. E qui abbiamo un bel fronte-retro, un "Geo & Geo" di squisita fattura attaccato ad una vera e propria leggenda automobilistica.

Nella nostra supponenza, le auto di fabbricazione sovietica sono generalmente liquidate come carcassoni o roba del genere. Un'accidente. La GAZ-21 Volga era invece un'autovettura di tutto rispetto. La sua produzione durò dal 1956 al 1970. Era stata progettata stilisticamente alla pari con le migliori auto americane dell'epoca (dalle quali, superate le solite distorsioni "ideologiche", differisce assai poco), e tecnicamente era un prodigio. Doveva circolare in condizioni climatiche difficili e su strade spesso disastrate, e lo faceva in modo assolutamente impeccabile (aveva, ad esempio, un grado di resistenza alla ruggine da record per l'epoca); montava sedili reclinabili ed accessori tipo l'accendisigari elettrico, lo spruzza-acqua per i tergicristalli e l'autoradio a tre onde.


L'interno di una GAZ-21 Volga con l'accendisigaro e l'autoradio.

Nel 1959 divenne l'automobile più grossa e lussuosa che un cittadino dell'ex URSS poteva acquistare liberamente (restavano ovviamente escluse le enormi limousines riservate alla nomenklatura): possibilità, va detto, del tutto teorica per la maggior parte della popolazione, dato che aveva un prezzo corrispondente più o meno a 12 anni di salario medio di un operaio. Fu così che la Volga Dvadcat' Odin (il suo nome originale in russo) divenne il mito del russo medio, e un mito inarrivabile. Nulla di strano: negli stessi anni anche una Fiat 1800 o un'Alfa Romeo erano miti ugualmente inarrivabili per l'italiano medio. Una caratteristica saliente dalla GAZ-21 Volga era la sua altezza sulle ruote: questo dipendeva ovviamente dalle condizioni spesso "da fuoristrada" in cui si trovava a circolare, e ce la fa apparire sicuramente "diversa" da auto consimilari prodotte altrove nello stesso periodo.


Foto in cui si apprezza meglio l'altezza sulle ruote di una GAZ-21 Volga.

Chissà quindi quale posizione, economica e/o sociale, occupava in Georgia il proprietario di questa Volga: possederne una, nonostante la "libera vendita", non era da tutti. Era anche un bestione con un motore da 2500 cc, e per farlo andare ci voleva la benzina come da ogni altra parte del mondo...

Una Moscovita nel Nagorno-Karabakh



Moskvich, o meglio Москвич, significa "Moscovita" in lingua russa. Era il nome con cui venivano commercializzate e distribuite le autovetture prodotte dalla AZLK, la quale aveva sede, incredibilmente, a Mosca. AZLK era ovviamente una sigla: era l'acronimo di Avtomobil'nyj Zavod imeni Leninskogo Komsomola (Автомобильный завод имени Ленинского Комсомола), vale a dire: "Fabbrica di Automobili Gioventù Leninista". Embè? Noi ci abbiamo la FIAT e loro ci avevano la FAGL; e mi sia permesso di dire che, attualmente, girare su una Gioventù Leninista Moscovita sarebbe un sogno per qualsiasi Treggista Militante autentico.

In alternativa, si può sempre fare come INSCO (abbreviazione molto sovietica di Io Non Sto Con Oriana), il nostro viaggiatore transcaucasico di fiducia, e andarsela a scovare in comodissimi posticini come il Nagorno-Karabakh; la foto che vedete, infatti, è stata scattata non lontano da Stepanakert, la capitale di quel bizzarro paese un tempo parte del Barbagian dell'Azerbaigian, ma abitato interamente da armeni e attualmente repubblica indipendente riconosciuta però soltanto dall'Armenia; tutto questo, naturalmente, dopo la regolare guerricciola che ha lasciato sul terreno qualche migliaio di civili che magari ne avrebbero fatto pure volentieri a meno. E vabbè; come dire, almeno qualche treggia sovietica si è salvata.

Questa qui (che indossa una targa armena, ma pare che nel Nagorno-Karabakh le targhe siano quelle armene "metropolitane"), è una Moskvich 412. Si tratta del modello forse più popolare della Gioventù Leninista Moscovita, e fu persino esportata (non soltanto nei "paesi satelliti" ma anche dalle nostre parti). La sua linea filante e modernissima ne fece un modello assai ambito presso certe case del popolo fra Oste e Montemurlo, ai tempi di Berlinguer ti voglio bene; Berlinguer e compagni, però, a Leonid Brezhnev regalavano le Maserati Quattroporte. Ciò non toglie che mettetecela voi la vostra Grande Punto o il vostro suvvino a sopravvivere a un'autentica guerra caucasica. Questa qui lo ha fatto riportando solo qualche ammaccatura sugli sportelli.

martedì 24 agosto 2010

Differenze tra una Golf e una Gòrfe




Dopo parecchi anni è oramai possibile, fortunatamente, parlare di differenze sostanziali tra una Golf e una Gòrfe. Questa qui è una Gòrfe. Un po' condivide il destino delle Mercedes: col tempo si umanizza e cessa di essere la macchina del fighetto per antonomasia, col suo numero variabile di valvole e un puzzo di fascistello da tre soldi bucati che solo il tempo, lo ripeto, riesce ad eliminare. Sui guidatori delle Golf sono stati scritti trattati interi, specialmente se di età inferiore agli anni ventiquattro: ciò ne ha fatto, probabilmente, l'auto più stiantàta della storia dato che metterla in mano a un demente di neopatentato, o comunque di giovinotto fava assai, ha riempito i cimiteri e, purtroppo, spesso di gente che non c'entrava niente e che ha avuto soltanto lo sculo di incrociare il golfista che faceva il bischero. Le Golf di prima generazione, però, intreggendosi si sono scrollate di dosso quest'aura non propriamente positiva; in alcuni casi sono persino diventate simpatiche. E sono, appunto, diventate delle Gòrfe.

Orange




Se l'Olanda avesse vinto i campionati del mondo più brutti della storia, al posto dei boriosissimi spagnoli, avrei anche potuto festeggiare abbinando a questo protocamper Westfalia sistemato su un T2 del 1973 l'avito inno dei Paesi Bassi, Wilhelmus van Nassouwe (ove Nassouwe è l'antica grafia di Nassau, vale a dire la casa regnante degli Orange-Nassau). Disgraziatamente non è andata così; ma rimane questo bel trasporterone camperizzato, con tanto di tetto rialzato e tendine. Sarà stata l'epoca in cui servivano sul serio, per nascondere pudicamente le rumbe giovanili che vi si svolgevano dentro (e con la speranza che i proprietari abbiano passato il mezzo ai nipoti)!

Er Puffo e er Mezzosacco




Quando Cristina la Meharista se mòve, cioè come il moto perpetuo, possiamo stare tutti certi che il suo bel carico di tregge lo cala sempre. Mi scrive di essere, sentite un po', di passaggio a Roma, tornata dal Salento e in attesa di partire per la Sardegna: incontenibile! La strana coppia di questo post, ripresa da Cristina "tra Roma e Cisternino", è formata da un Puffo (vale a dire la 128 giustappunto di color Grande Puffo, quello cui i Nomadi dedicarono la famosa canzone che diceva ce l'ho grande, ce l'ho blu) e da un Mezzosacco barese rosso fiammante. Il Puffo è del 1972, il Mezzosacco del 1973. Da notare infine che il qui presente continua imperterrito a non trovare manco una 128 berlina....

lunedì 23 agosto 2010

Treggiàrarat modello Molotov



L'amico Io non sto con Oriana (si ignora con chi stia, ma almeno si sa con certezza che con l'Oriana 'un ci sta, oh) non può essere definito un Treggista in senso proprio; però, dato che ha l'abitudine di passar le ferie in posticini tipo l'Incògnistan o l'Ematuria del Nord così come noi li passiamo al Cinquale o a Milano Marittima, non manca mai, al ritorno dalle sue scorribande, di farmi qualche bel regalino. E che regalino, direi.

Così, quest'anno, al ritorno dall'Armenia e dal Nagorno-Karabakh (che io chiamo Caratù Carabài), eccotelo con questa strabiliante GAZ 12-ZIM (prodotta dal 1950 al 1959) con targa armena, ripresa al Vernissage di Yerevan (il Vernissage, nonostante il nome modaiolo, è un mercato popolare dove si puà trovare di tutto, dai cardini per le porte e finestre ai vecchi cellulari stile socialismo reale, fino agli elefanti rosa; insomma, una specie di Porta Portese dell'Hayastan) non più di una settimanetta fa.

La GAZ (in russo: ГАЗ - Горьковский автомобильный завод, Gor'kovskij Avtomobilskij Zavod ovvero "Fabbrica di Automobili di Gor'kij") fu fondata nel 1929 in base ad un accordo, udite udite, tra Henry Ford e l'Unione Sovietica. Gli affari sono affari e money is money. Da qui la linea decisamente americanissima di queste enormi vetture che rappresentarono a lungo il sogno proibito di ogni cittadino dell'URSS: possederne una significava far parte dell'establishment. La 12-ZIM fu prodotta comunque in oltre 21.000 esemplari. Curioso ciò che significa la sigla "ZIM": è l'abbreviazione di Zavod Imeni Molotova, vale a dire: "Stabilimento Molotov". Così si chiamava il particolare stabilimento di Nizhnij Novgorod (che all'epoca si chiamava Gor'kij) dove era prodotta. Una macchina Molotov, insomma.

Io dico che, se avesse la parola (e forse cellà, come dicono tipicamente nel Caucaso), questa vettura ne potrebbe raccontare parecchie, di cose. All'ombra dell'Ararat, la montagna sacra degli armeni coi turchi che gliel'hanno fregucchiata, nonché protagonista -alcuni anni fa- di una simpatica alluvioncella che vide l'approdo di una curiosa imbarcazione carica di animali e condotta da un vecchio signore con la barba bianca (ma non era Eugenio Scalfari). Proprio una bella e straordinaria Treggiàrarat ci ha mandato colui che non sta con l'Oriana; e concludiamo opportunamente proprio con una sua foto della montagna in questione.


...E poiché di tregge di quelle bizzarre parti, e che tregge!, me ne ha mandate diverse, una bella categoria "ad hoc" ci starà dimolto bene. Preparatevi a strabuzzare gli occhi, credetemi.

Un Ottanta dalla notte fonda





Detto, fatto: non appena istituita la nuova categoria sulle "FI 80 quadrate", eccone subito una che si pone come titolare di almeno un paio di record. Imprìmisse, è quella più vicina alla FI 804000 (mancano soltanto 230 unità) e, in secùndisse, è probabilmente l'avvistamento del TB avvenuto all'ora più buia e deserta. Le 3,58 del mattino del 12 agosto scorso, per la precisione. Nemmeno un cane a giro per sbaglio. Nemmeno una finestra illuminata. Il vuoto. A giro, pacchetto di sigarette, suoi pensieri bizzarri e fedele Kodak alla mano, c'era soltanto il vostro Treggista preferito (o almeno così si spera) che, non di rado, si gode la città del tutto priva di umani. Un cane no, ma un paio di gatti sì; un quartiere qualsiasi, nemmeno quello artisticamente più interessante (tutt'altro), e un Transporter arancione quasi fora le tenebre. La sublimazione del Treggista: poter fotografare in tutta tranquillità, mettendosi in mezzo di strada, solo con se stesso e con le cure e gli affanni che hanno svoltato all'incrocio prima andandosene per conto loro e, possibilmente, affanculo almeno per un quarto d'ora. Poi pure la targa: e viene a mente la canzoncina dell'omino che porta i ragazzi nel Paese dei Balocchi, Tutti la notte dormono, e io non dormo mai...; e se poi si diventerà Lucignoli e ci cresceranno le orecchie d'asino, pazienza.

Nuova categoria: Le "FI 80" quadrate

Come già specificato già in un post dello scorso 25 marzo, le targhe quadrate bianche e nere della serie "FI 80" sono una rarità. Sono le ultime per Firenze e provincia: con la targa FI 804000 iniziarono le nuove targhe arancioni, bianche e nere e fu, allora, un salto epocale: la prima volta che in Italia era possibile disporre una targa in orizzontale, con un sistema "componibile" che è andato avanti anche con le successive targhe bianche, fino all'introduzione delle attuali, disgraziate e orrende, targhe alfanumeriche. Insomma, delle "FI 80" quadrate ne sono state emesse soltanto 4000, negli ultimi mesi del 1975: e di tali 4000 non ne saranno rimaste molte. Trovarne ancora una in giro è un'autentica manna dal cielo per il cacciatore di targhe fiorentino: tanto basta perché oggi, 23 agosto 2010, mi sia finalmente deciso ad istituire una nuova categoria ad esse specificamente dedicata. Un appello quindi ai collaboratori: se vedete una "FI 80", anche attaccata alla solita 500, clìc, clìc e clìc!

Il raduno de' Mezzisacchi (9): Up patriots to arms



Lo scorso 18 maggio, l'oramai celeberrima piovosa domenica del raduno de' Mezzisacchi in quel di Firenze, mancava ancora circa un mese all'ignominiosa dipartita della Nazionale di Mr Boria da Viareggio dai mondiali di calcio sudafricani; la foto del Mezzosacco con la bandiera italiana non si riferisce quindi, fortunatamente, a qualche presupposto festeggiamento. Poiché la maggior parte delle 500 (e dintorni) presenti al raduno, che mi sono sfilate davanti facendomi rischiare una bronchite fuori stagione nel mese di maggio climaticamente più schifoso che mi ricordi, facevano parte del Club Italiano delle 500, si può ipotizzare che l'ardore patriottico del proprietario di questa Fiat Abarth 595 abbia voluto sottolineare proprio l'appartenenza all'entità nazionale della Mezzosaccheria ed anche, forse, il fatto che la 500 è un possente simbolo di italianità. Glielo vogliamo perdonare? Ma sì, vah. Anche perché il Mezzosacco abarthizzato in questione reca una targa con una sigla scomparsa, quella di quando Forlì ancora non divideva il capologato con Cesena (e la targa è del 1968), e poi perché aggiunge un altro mattoncino alla Saga del 17, forse la Treggiasbloggàggine più sentita di tutte...

domenica 22 agosto 2010

Yeux bleus (FF/20)




Ma che begli occhioni blé 'sta Alfa Romeo 1750 GT da corsa, eh? Sì, perché la 1750 GT "normale", da strada e targata, non è che corresse di meno (ci sono stato a bordo una volta sola nella mia vita, senza guidarla anche perché ancora non avevo la patente, e vi assicuro che andai molto vicino a cacarmi in mano dalla paura...); ma questa è ufficialmente da corsa, con tutti i suoi meravigliosi sponsor locali (una ditta di condizionatori e un albergo nel centro di Livorno, per la cronaca) e l'aria simpaticamente aggressiva. Con quel tocco, direi quasi civettuolo, dei fari anteriori blé. Per il resto, un delirio di adesivi e, dentro, un intrico di cinture più o meno di sicurezza. Mi fermo qui, sennò comincio con la solita pappardella degli altri tempi eccetera; ma sono discretamente sicuro che, sebbene questa vettura oramai non partecipi che alle corse di auto storiche, messa su un circuito alla pari con certe vetturette da corsa meno storiche (e chissà se mai lo diventeranno...) darebbe ancora loro del bel filacchione da torcere. Vrùm, vrùm, e ancora vrùm.