venerdì 10 dicembre 2010

Please stand up: Cisitalia (FF/25)


La pubblicazione delle foto del raduno-corsa storica "Firenze-Fiesole" del 14 marzo 2010 andrà avanti per chissà quanto ancora; inizialmente avevo pensato di dedicare delle piccole "monografie" (vale a dire dei singoli post) solo a certi modelli, per poi fare un post complessivo senza commento dedicato a quelli che erano rimasti fuori. Semplicemente impossibile. Resterà l'unico autoraduno storico testimoniato nel TB, e così deve essere: solo domenica scorsa, a Firenze, se ne è svolto ad esempio uno al quale mi sono guardato bene dal mettere piede. Un unicum. Perché uniche sono le autovetture e le moto che vi erano presenti. E questa che vi presento qua, con un'unica foto quasi a sottolineare la sua irripetibilità, ne è un esempio. Please stand up. Per favore, alzatevi davanti alla Cisitalia 202 Spyder.

Tra il primo dopoguerra e gli anni '60, l'Italia vide un fiorire di piccole case automobilistiche che producevano vetture non soltanto di altissima qualità, ma anche di una bellezza incomparabile. Opere d'arte; nel 1951 la cosa fu sancita ufficialmente, quando un esemplare della 202 coupé fu esposto al Museum of Modern Art di New York in quanto Scultura in movimento. Avete capito bene: scultura in movimento. Davanti alla "Spyder" si potrebbe dire che è il movimento stesso che si fa opera d'arte senza nessun bisogno di ricorrere neppure alla scultura. L'automobile diventa opera d'arte in sé, libera da paragoni e accostamenti. E sono cose, queste, che sono finite. Non mi si venga a parlare di Ferrari e roba del genere.

La Cisitalia SpA fu fondata l'8 marzo 1946 da Piero Dusio e Piero Taruffi. E furono, subito, le 1000 Miglia. E fu Tazio Nuvolari, che proprio alla guida di una 202 quasi arrivò a vincerle (battuto solo dall'Alfa Romeo 8C 2900 B di Biondetti). Le vicissitudini della Cisitalia (Acronimo di Compagnia Industriale Sportiva Italia) sono contraddittorie e, a volte, drammatiche: l'articolo Wikipedia merita davvero di essere letto. La fine arrivò nel 1963: Carlo Dusio, figlio di Piero, il quale aveva portato avanti l'azienda caparbiamente, alla chiusura prese l'albero motore della Grand Prix e andò a gettarlo nel Po, a Torino.