giovedì 11 febbraio 2010

Su strade consuete




Poche strade come quella che si vede nelle foto sono per me tanto consuete. Ci vado ogni giorno, a portare e a riprendere delle persone che passano la loro giornata in un posto specializzato. Una strada di collina, piena di ville, di parchi e di ricchezza; uno di quei luoghi dove la consuetudine, per uno come me, dev'essere per forza affidata a qualcosa di estremamente particolare. Come estremamente particolari sono gli automezzi che vi sostano, del resto. Le auto di lusso, corrispondenti alle superville, devono stare nei garage interni; per la strada, invece, è tutto un fiorire di tregge. Di cinquecento, in primis: ve ne sono, fisse, almeno tre che prima o poi vedrete. Poi capita, una mattina, di trovare questa cosa qui. Inchiodare. Imbracciare la Kodak. Scendere. Posizionarsi. E proprio mentre ci si sta posizionando, accorgersi che c'è il guidatore a bordo. Gasp.

In questi casi, è buona norma avvicinarsi urbanamente con un sorrisone a 48 denti e cominciare a spiegare brevemente che cosa si sta facendo; per il resto, chiedere educatamente il permesso di fare due o tre foto non costa niente e, anzi, produce risultati sorprendenti. Il permesso viene dato nella quasi totalità dei casi (e se non viene dato, pazienza) e si fa la conoscenza di persone che hanno sempre qualcosina di unico. Del resto, chi sta al volante -ad esempio- di un T2 del 1973 non è certamente il tipico pìssero da suvvino immacolato.

Il Treggista in divisa di servizio e con la bandana di lana; il guidatore con berrettone pure di lana, barba lunga. Si chiama Giulio. E qui cominciano quindici minuti di treggismo puro, fra due sconosciuti che si sono incontrati in tale bizzarro modo una mattina di febbraio in una strada che certo non può essere definita una grande direttrice di traffico (e questa espressione somiglia simpaticamente alla biblica Grande Meretrice di Babilonia). Un quarto d'ora di delirio puro, tra prezzi dei T1 e T2, racconti d'avventure, sguardi amorosi all'automezzo, risate e osservazione dei gesti. Perché chi sta dentro una Treggia la vive in ogni momento, la sente, la trasmette. Non credo, peraltro, che ci rivedremo mai più. Ma se mi capiterà di veder ripassare, da qualche parte, questo automezzo, saprò chi c'è sopra. Mi ricorderò di quel quarto d'ora. Provateci voi a farvi ricordare su una delle vostre macchinine qualsiasi tutte stondate, modaiole e fluo. Poveracci.