martedì 23 febbraio 2010

Il Fondo Cristina (6): La brutta che fa paura...


Veramente sarebbe stata, almeno secondo i Carbonari di Armando Trovajoli per il film di Luigi Magni, poi ripresi estemporaneamente da De André, "la bella che fa paura" (anzi, propriamente: la bella che è addormentata...ha un nome che fa paura). Ma per la Renault 6, qui fotografata nientepopodimeno che in quel di Lecce dalla nostra Cristina la Meharista durante una delle sue peregrinazioni, di "bella" non si potrebbe parlarne nemmeno a volerne. Il mistero delle vecchie auto francesi: nella fascia medio-bassa avevano generalmente una linea agghiacciante (la R6 sembra tagliata direttamente da uno scalpellino su un blocco di latta grezza, e appena sbozzata), però, al tempo stesso, ci avevano quel "non so che" che le rendeva uniche.

Si chiama, credo, riconoscibilità. E carattere. Le vedevi in giro, le infamavi, ci ridevi addosso, però un sacco di gente le comprava non soltanto per le loro caratteristiche tecniche (robustezza eccetera). Le comprava anche per com'erano fatte. Per la loro bruttezza. E sulle "auto brutte" ci sarebbe da dire tante cose, in quest'epoca di auto tutte belline, rotondine, gaggettine e noiosissime. La bruttezza riconoscibilissima delle francesi recava un messaggio (non mi si venga a dire che la R4, una delle macchine più vendute della storia, era bella...), ed era probabilmente lo stesso dei Carbonari: libertà, libertà, libertà. Con quel mix di Francia profonda, barricate del Maggio, D'Alembert e onde enormi sulle sconfinate spiagge delle Landes che abbisognano di macchine come queste, non di stolide Mercedes.