martedì 2 febbraio 2010

Cristina la Meharista



Una delle cose più belle che possano esistere per questo blog da Asocial Network è constatare che le interazioni ed i contatti avvengono invece eccome, ma come una volta: tramite una semplicissima e-mail. Trovarsi per caso, "surfando" (un termine che solo pochi anni fa era usatissimo, e adesso è già ridotto a un relitto lessicale), girando in Rete. Senza forzature. Allora, se lo si vuole, si prende la cara, vecchia e oramai obsoleta e-mail e si scrive; e così ha fatto Cristina C., di Roma, spedendomi le foto che vedete sopra e, più che altro, la sua storia di Meharista. E poiché questo è un blog soprattutto di storie, ve la vado a raccontare per sommi capi certo di fare un piacere anche a Cristina.

Partiamo dal fondo, vale a dire dalla Mehari ocra. Una foto che Cristina, come mi ha scritto, ha scattato nel 2006 nientemeno che a Formentera (come è noto, le Mehari allignano principalmente sulle isole). Apro qui una parentesi su Formentera, che è stata uno dei miti degli anni '70, una di quelle isole dove tutto si poteva: chi ha qualche annuccio si ricorderà probabilmente anche di questo pezzo dei King Crimson, Formentera Lady:

Sarà anche per quel suo nome che "suona così bene" alle nostre orecchie (facendo dimenticare il prosaico significato di "campo di frumento", "frumentaia"), ma a Formentera -mi viene da pensare- non si può, ad un certo punto, che trovare una Mehari ocra. Mi sia scusata l'agudeza, condita anche da un po' d'invidia isolana per non avere avuto non dico i King Crimson, ma neanche un gruppo progressive di Rosignano Marittimo che abbia voluto scrivere una Island of Elba Lady nonostante tutte le Mehari che vi si trovano, ma io la Cristina la capisco benissimo. Altro che gusto dell'orrido, come ella mi scrive. È, anzi, il meraviglioso gusto di chi ha ancora ben presente com'è fatta la libertà e come son fatti i vent'anni; poi una Mehari arriva da sé. Il gusto dell'orrido lo ha chi si rinchiude indebitandosi fino al collo in SUV dal finto nome indiano.

Detto questo, passiamo all'altra foto, quella in altro. La Mehari verde targata Roma, insomma. Sì, perché Cristina non la ha soltanto trovata e fotografata, mezza abbandonata nella sua città: ha saltato veramente il fosso. Vale a dire: se la è comprata. Specificandomi che nel motore c'erano rami e foglie. Ecco: vorrei dire a Cristina che il suo è un atto di amore. E non soltanto. È l'essenza stessa dell'essere un(a) treggista, questa buffa parola che ho inventato per definire chi cerca di non sottostare al mondo d'oggi e alle sue "regole", alle sue standardizzazioni, ai suoi vuoti status symbol e a tutta un'atmosfera che fa sì che una macchina come la Mehari non possa più nemmeno essere concepita.

E chi l'ha detto, Cristina, che una Mehari non possa essere adatta a Roma? Capirei se tu vivessi a Oslo (e poi, magari, i norvegesi si farebbero meno problemi...), ma a Roma basta coprirla con la sua capote, d'inverno. La tua non è una follia, ma, anzi, un'azione di sanità mentale. Comoda, robusta, non consuma niente, e poi arriva l'estate e magari si torna a Formentera...quando la Mehari sarà stata ridipinta di arancione! Mi raccomando, aspetto ancora notizie di questa vettura; sarei capacissimo anche di venire a Roma per fare un reportage :-)